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* Lucia, portatrice di Luce, colei che libera dal velo dell’illusione
Lucia, intesa come portatrice di luce, portatrice di nuova vita. Colei che libera dal velo dell’illusione, dal velo di maya. Velo che separa gli esseri dalla conoscenza/percezione della realtà.
Il 13 dicembre si celebra santa Lucia, una festivita’ particolarmente sentita nel nord Europa, specie in Svezia, anche se Lucia ha origini siciliane.
La tradizione cristiana che celebra santa Lucia si inserisce su culti preesistenti e rituali legati al culto della terra e a quello del sole, su un calendario che ha subito molte traversie fino ad arrivare ai giorni nostri.
Prima della modifica del calendario da parte di Papa Gregorio XIII, il 13 dicembre era considerato il giorno piu’ corto con la notte piu’ lunga dell’anno, da qui il famoso detto “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia” ed era celebrato come il solstizio d’inverno.
L’assenza di luce perche’ in questo periodo dell’anno il sole tramonta prima, l’assopimento della natura, la caduta delle foglie e l’inasprimento del clima dominato dal freddo, tutto richiamava il concetto della fine della vita e quindi, nelle culture antiche legate all’agricoltura e ai cicli della natura, la paura della morte.
I sacerdoti depositari dei saperi astronomici sapevano anche che da quel giorno in poi le giornate si sarebbero allungate e che, nonostante il rigore della stagione invernale, sotto la neve, i semi stavano preparandosi alla prossima rinascita mentre alberi come l’abete e piante sempreverdi come il vischio e l’agrifoglio potevano significare la capacita’ di resistere alle intemperie e la vitalita’ della natura.
Cosi’ furono istituite celebrazioni che coinvolgevano tutta la comunita’ per assicurarsi il ritorno del sole, per celebrare la luce, per ingraziarsi la natura e fugare ogni timore delle tenebre.
In questo contesto si colloca la festa di Santa Lucia, una giovane cristiana vissuta nel V secolo.
Gia’ il suo nome deriva dal latino lux traducibile con luce, e’ un richiamo fortissimo alle antiche usanze di offrire una giornata di riti e festivita’ per scongiurare l’espansione delle tenebre e del buio.
La santa viene raffigurata spesso come una giovane fanciulla, con una corona di candele, specie nell’iconografia nordica, mentre essendo una martire nell’iconografia mediterranea oltre a portare una palma, simbolo del martirio, nell’altra mano sostiene una patena con degli occhi.
Secondo la tradizione e la leggenda, la santa stessa se li strappo’ gettandoli ai piedi di un pretendente, diventando anche la patrona della vista.
Gli occhi di santa Lucia, sono un simbolo molto importante, dunque perche’ indicano la capacita’ di vedere, si sapersi orientare e sono un richiamo spirituale alla saldezza e all’illuminazione.
Per i nativi americani attraverso l’occhio si puo’ catturare l’anima di una persona, per questo non guardano mai direttamente nell’obiettivo delle macchine fotografiche.
Per gli indu’ il terzo occhio e’ il simbolo di Shiva, che tutto distrugge che tutto purifica, l’occhio dell’onniscenza capace di vedere oltre la manifestazione della realta’ fenomenica.
Anche nel buddismo la raffigurazione degli occhi del Buddha rappresenta la sua onniscienza, di solito sono dipinti sulle quattro pareti esterne degli stupa.
Per gli egiziani era l’occhio all’origine del mondo e anche il dio Ra ha un occhio sulla fronte, perche’ grazie all’organo della vista la realta’ diventa possibile e si percepisce; cosi’ come Platone definisce l’occhio il simbolo dell’anima e della visione interiore.
Su questo concetto si basa anche la tradizione della chiaroveggenza collegata spesso con la cecita’ fisica, per esempio il dio Odino rinuncia ad un occhio per bere alla fonte di Mimir e acquisire quindi la conoscenza, la stessa sorte che tocca ad Omero, capace di raccontare le storie e le leggende degli eroi greci e delle loro divinita’ ma solo perche’ guidato dalla luce interiore.
Bisogna anche stare attenti al potere della vista, chi non e’ preparato, chi osa alzare lo sguardo sfidando cio’ che la divinita’ consente rischia di perdere la propria vita e l’occhio si trasforma nel veicolo di morte.
Nella tradizione mitologica greca, per non essere trasformati in una statua di sale non si doveva guardare Medusa negli occhi, e un episodio nella Bibbia riporta lo stesso ammonimento, la moglie di Lot durante la fuga, si gira a guardare la distruzione di Sodoma e Gomorra contravvenendo ad un ordine divino e all’istante si tramuta in una statua di sale.
Gli occhi sono un’importante allegoria e un segno anche nel mandala.
L’occhio e’ un mezzo per entrare in contatto con la realta’ sia quella esteriore sia quella interiore.
Guardando la sua forma, l’occhio stesso e’ un mandala, considerando la forma della pupilla con un punto al centro, mentre la sua forma allungata ricorda quella della mandorla.
Secondo C. G. Jung e’ “prototipo del mandala” (citazione da S. Fincher, Mandala).
Quando in un nostro mandala sono presenti piu’ occhi, possono esprimere la nostra sensazione di essere osservati dagli altri e quindi giudicati, piuttosto, potrebbero esprimere il nostro di giudizio sul mondo esterno.
Gli occhi sono anche lo schermo sul quale proiettiamo i nostri sentimenti e le resistenze, quindi cio’ che riceviamo dall’esterno e’ sicuramente influenzato in maniera non obiettiva dai nostri sentimenti.
Un verso del Talmud contiene un concetto che all’incirca dice che non guardiamo le cose come sono, ma come noi le vediamo secondo l’inclinazione del nostro cuore. Quando nel mandala l’occhio e’ uno e posizionato al centro, di solito indica che siamo molto in contatto con noi stessi e con il nostro “Io”, potrebbe anche essere che stiamo ricevendo conoscenze e “illuminazione” per altre vie superiori a quella fenomenica.
Indica che siamo connessi con la nostra spiritualita’ e il nostro se’ piu’ profondo.
Fonte:
http://www.mandalaweb.info/approfondimenti/news/ilmandalaegliocchidisantalucia
* 2 febbraio, il giorno dell’orso
” Il 2 febbraio è uno di quei giorni, dispiegati nel calendario, utili, in base alle credenze popolari, per trarre auspici per il futuro, per predire l’esito dei raccolti. In fondo, da un punto di vista tecnico-agricolo, è effettivamente importante che, in certe fasi dello sviluppo del grano e della vite, le condizioni meteorologiche siano favorevoli.”
In alcuni luoghi viene chiamato “Giorno dell’orso“.
In questo particolare giorno, l’orso si sveglierebbe dal letargo e uscirebbe fuori dalla sua tana per vedere come e’ il tempo e valutare se sia o meno il caso di mettere il naso fuori: se il tempo è nuvoloso annuncia con tre salti l’arrivo della primavera, se viceversa il tempo è chiaro e soleggiato l’orso torna a dormire nella tana.
Un proverbio piemontese in questo senso recita:
“se l’ouers fai secha soun ni,
per caranto giouern a sort papì”
(“Se l’orso alla Candelora fa saltare la paglia (il giaciglio) si rientra nell’inverno”).
In altre regioni, viene utilizzato il lupo o il leone come protagonista simbolico di questo proverbio che esplora le dinamiche interne della terra, che proprio nel momento di maggior gelido, ricominciano a risvegliare gli elementi assopiti, e quindi al di sotto di una superficie brulla corrisponde una vita intensa.
Non è un caso se il termine febbraio derivi dal latino februus (“purificante”), associato al periodo annuale di purificazione e quindi di rinascita.
Un altro proverbio simile al primo, ma meridionale in questo caso, sostiene che se il due Febbraio il tempo è buono, l’orso ha la possibilità di farsi il pagliaio e quindi l’inverno continua.
L’orso era anche protagonista di alcuni riti rurali del mese di febbraio, collocati nel ciclo agreste/vegetativo: al termine di una caccia simulata, l’orso viene catturato e portato all’interno del paese dove viene fatto oggetto di dileggi e di scherzi. L’epilogo può variare dall'”uccisione” dell’orso alla sua liberazione/fuga e ritorno alla natura. La figura dell’orso è rivestita da qualcuno del luogo che non deve essere riconosciuto fino alla fine della rappresentazione rituale.
In tempi remoti un montanaro/domatore andava in giro da un paese all’altro facendo ballare l’orso nelle piazze, celebrando il ritorno della luce e della bella stagione, con la sconfitta delle forze del buio e del freddo. In seguito questo uso scomparve e in alcuni paesi, per mantenere la tradizione, l’orso fu sostituito da una persona appositamente mascherata che ripeteva la stessa pantomima.
Altre celebrazioni del “ giorno dell’orso” e altre usanze.
Nel periodo di Carnevale, un uomo veniva mascherato da orso e tirato con una catena o una corda per le strade, dove veniva schernito e bastonato.
Sempre nel periodo di carnevale, un personaggio mascherato da orso apriva la sfilata in costume, e in questa “rappresentazione” veniva mostrato pure il giaciglio asciutto dell’orso
Si celebra anche la “festa dell’orso“: qualche giorno prima della ricorrenza, i cacciatori con il volto annerito, andavano alla ricerca dell’orso, che (un uomo travestito) veniva immancabilmente trovato la sera della vigilia. Cacciatori, “orso”, e domatore visitavano le stalle e le osterie con il pretesto di spaventare la gente (e le ragazze) si lasciavano andare a trasgressive bevute. Il giorno dopo, l’orso compariva in paese e, dopo aver fatto il giro della borgata, ballava con la ragazza più bella prima di scomparire per ritrasformarsi in uomo.
In Puglia, chi impersonificava l’orso girava per le vie del paese, fermandosi nelle piazze: lì, al suono di tamburi, si metteva a ballare la tarantella, tra i presenti disposti in cerchio che battevano le mani a tempo e lo punzecchiavano e colpivano con qualche sberla. A volte, a seconda del tempo, l’orso imitava o no l’atto del costruire il suo rifugio (u pagghiar’).
Questi riti riproponevano comunque una tradizione antica che celebrava la festa del ritorno della luce e della bella stagione, con la sconfitta delle forze del buio e del freddo.
Nello svolgimento di questi riti traspare la simbologia dell’orso (che con l’inverno va in letargo e si risveglia a primavera), interprete della forza primitiva della natura. L’orso può anche essere accostato alla figura dell'”uomo selvaggio”. In entrambe le raffigurazioni rappresenterebbe comunque il binomio natura – uomo.
Ci saranno ancora sei settimane d’inverno o la primavera arriverà in anticipo?
Chiedetelo a Chuck, la marmotta dello Staten Island Zoo che come ogni anno farà la sua previsione.
L’appuntamento con Chuck è fissato per il 2 febbraio, il “Groundhog Day“, cioè il giorno della marmotta, una festa celebrata ogni anno sia negli Stati Uniti che in Canada, nel corso della quale si osserva il rifugio della marmotta prestando attenzione a quando farà capolino dalla sua tana. Se Chuck vedrà la sua ombra ci saranno altre sei settimane d’inverno, mentre se non la vedrà significa che la primavera arriverà presto. Chuck e la sua famiglia hanno predetto correttamente la fine dell’inverno 23 volte negli ultimi 30 anni.
A New York ogni anno per il giorno della marmotta il sindaco Bloomberg va a fare visita a Chuck allo zoo di Staten Island per leggere il responso. E’ ormai una tradizione consolidata!
Leggi anche: “ Il giorno della marmotta”
http://marisamoles.wordpress.com/2013/02/02/la-madonna-candelora-e-la-primavera-che-verra-tardi/
Fonti:
http://www.lucedistrega.net/documenti/feste-candelora.htm
http://www.nyc-site.com/newyork/nymag-eventi/3386-nel-giorno-della-marmotta
* La leggenda del sole e della luna e dell’eclissi
La leggenda del Sole e della Luna
Quando il sole e la luna si sono incontrati per la prima volta si sono innamorati perdutamente e da lì hanno cominciato a vivere un grande amore.
Il mondo non esisteva ancora e il giorno che Dio decise di crearlo, diede loro un tocco finale… il bagliore!
Dio decise che il sole avrebbe illuminato il giorno e che la luna avrebbe illuminato la notte e per questo motivo sarebbero stati costretti a vivere separati. Entrambi furono invasi da una grande tristezza e capirono che non si sarebbero mai più trovati…
La Luna era sempre più triste. Nonostante il bagliore dato da Dio, si sentiva sola.
Il sole a sua volta aveva vinto un titolo di nobiltà ” Astro re” ma neanche questo lo rendeva felice.
Dio allora li chiamò e spiegò loro:
– ” tu, luna, illuminerai le notti fredde e calde, piacerai agli innamorati e sarai spesso protagonista di bellissime poesie.”
– “quanto a te sole, manterrai quel titolo perché sarai il più importante degli astri, illuminerai la terra durante il giorno, darai calore all’essere umano e solo questo renderà le persone più felici.”
La luna diventò ancora più triste con quel crudele destino e pianse amaramente e il sole nel vederla così triste, decise che non poteva essere debole, perché doveva darle forza e aiutarla ad accettare ciò che Dio aveva deciso.
Eppure era così preoccupato che decise di chiedere qualcosa a Dio:
– Signore, aiuta la luna, per favore, è più fragile di me, non sopporta la solitudine…
E Dio… nella sua grande compassione… creò le stelle per fare compagnia alla bella luna.
Così la Luna ogni volta che è molto triste ricorre alle stelle che fanno di tutto per consolarla, ma quasi mai lo ottengono.
Oggi entrambi vivono così… separati, il sole finge di essere felice, e la luna non può nascondere la sua tristezza.
Il sole arde di passione per lei e lei vive nelle tenebre del suo dolore.
Dicono che la volontà di Dio fosse che la luna dovesse essere sempre piena e luminosa, ma non ce l’ha fatta… perché è donna e una donna ha fasi… quando è felice, riesce ad essere piena, ma quando è infelice è calante , non è nemmeno possibile apprezzare la sua luminosità.
Luna e sole seguono la loro strada.
Lui solitario ma forte e lei, accompagnata dalle stelle, ma debole.
Gli uomini cercano sempre di conquistarla, come se fosse possibile. Alcuni sono andati persino a lei, ma sono tornati sempre da soli. Nessuno è mai riuscito a portarla sulla terra, nessuno è mai riuscito a conquistarla, eppure molti ci hanno provato.
Ma Dio decise che nessun amore in questo mondo doveva essere impossibile, nemmeno quello della luna e del sole…
e così lui creò l’eclissi.
Oggi sole e luna vivono in attesa di quel momento, quei momenti a loro concessi e però tanto rari.
Quando guarderai il cielo, d’ora in poi e vedrai che il sole copre la luna, è perché il sole si sdraia su di lei e cominciano ad amarsi.
E ‘ a quell’atto d’amore che è stato dato il nome di Eclissi.
È importante ricordare che la luminosità della sua estasi è così grande che si consiglia di non guardare il cielo in quel momento, i tuoi occhi possono accecarsi nel vedere tanto amore…
Fonte: dal web:
○ Leggenda popolare di Anonimo.
Opera di Evelyn de Morgan (1855-1919)
* La leggenda del mandorlo in fiore
Il mandorlo è un albero bellissimo e dal profondo significato. Già a marzo si veste in festa con i suoi meravigliosi fiori, è il primo albero a fiorire e proprio per questo è simbolo di rinascita e di resurrezione.
Preannuncia la bella stagione che sta per arrivare e fiorisce così, come all’improvviso ad annunciare che il gelo e il buio dell’inverno è ormai al termine. I suoi rami sembrano innalzarsi al cielo per dare il benvenuto festosi e profumati alla primavera imminente.
Nella mitologia greca il significato del mandorlo è attribuito alla speranza e alla costanza e i suoi semi commestibili, le mandorle, sono da sempre considerati divini perchè protettori della verità (il loro guscio forte e duro custodisce il seme-verità conoscibile solo se si riesce a spaccare la scorza).
Legata al mandorlo vi è un’antichissima leggenda, una storia d’amore mitologica: la storia di Fillide e Acamante.
Acamante, eroe greco, si trovava in viaggio verso Troia. Durante una sosta a Tracia conobbe la principessa Fillide. Appena i due si videro nacque un amore profondo. Acamante dovette però lasciare la sua amata per andare a combattere a Troia. Fillide lo aspettò per 10 anni ma quando venne a conoscenza della caduta di Troia e non vedendo l’innamorato tornare pensò che fosse morto e si lasciò morire di dolore.
La dea Atena impietosita dalla storia degli innamorati trasformò Fillide in un mandorlo e quando Acamante, in realtà ancora in vita, venne a conoscenza di questa trasformazione, si recò nel luogo dove c’era l’albero e lo abbracciò con amore e con dolore. Fillide sentì quell’abbraccio e fece spuntare dai rami dei piccoli fiori bianchi
L’abbraccio dei due innamorati si mostra ogni inizio di primavera a testimoniare l’amore eterno tra i due.
Alle tradizioni arcaiche folcloristiche della Spagna appartiene una leggenda araba secondo la quale il califfo musulmano Abd al-Rahman III fece piantare dei mandorli sul terreno collinare attorno al suo palazzo nel villaggio di Madinat-al-Zahra (Medina Azahara), nei pressi di Cordova. Egli voleva restituire il sorriso all’amata moglie Azahara, che soffriva di nostalgia, alla vista dei fiori bianchi assomiglianti al candido manto di neve della Sierra Nevada, che lei un tempo poteva ammirare dalla propria abitazione a Granada.
Il Mandorlo, il cui nome scientifico è Prunus dulcis è una pianta appartenente alla famiglia delle Rosaceae e il seme che produce viene comunemente chiamato Mandorla. Il Mandorlo, originario dell’Asia sud occidentale, è un piccolo albero che può raggiungere i 5 metri di altezza e presenta radici a fittone, un fusto liscio e di colore grigio, foglie lunghe fino a 12 cm e piccoli fiori che vanno dal bianco al rosa.
La fioritura del Mandorlo avviene, generalmente, all’inizio della stagione primaverile ma, in zone a clima più mite, possiamo veder sbocciare i suoi fiori anche tra gennaio e febbraio. Il Mandorlo selvatico venne introdotto in Italia dai Fenici diffondendosi poi in quasi tutto il continente europeo meridionale. A differenza del Mandorlo coltivato, quello selvatico presenta, nel frutto, una forte tossicità dato che contiene glucoside amigdalina che, in conseguenza di danni subiti al seme, si trasforma in acido cianidrico. In seguito all’addomesticamento, il Mandorlo iniziò a produrre semi commestibili. Infatti, secondo alcuni studi, i Mandorli furono uno dei primi alberi da frutto a essere coltivati grazie “all’abilità dei frutticoltori a selezionare i frutti. Così a dispetto del fatto che questa pianta non si presta alla propagazione tramite pollone o tramite talea, esso doveva essere stato addomesticato perfino prima dell’invenzione dell’innesto”.
La prima testimonianza del Mandorlo domestico è stata rinvenuta nella tomba di Tutankamon in Egitto risalente al 1325 a.C. circa. Con molta probabilità il Mandorlo fu importato in Egitto direttamente dall’oriente.
Il Mandorlo è il simbolo della nascita e della resurrezione. È il primo albero a sbocciare in primavera e perciò simboleggia il rinnovarsi della natura, dopo la sua morte invernale. Il suo significato esoterico è strettamente legato al suo frutto, la Mandorla.
La Mandorla rappresenta il segreto, il mistero che va conquistato rompendo il suo guscio, che protegge il seme.
Alcuni riti sacri comportano il fare indigestione di Mandorle, che si ritiene apportino sapienza. Infatti la Mandorla, essendo nascosta, incarna l’essenza spirituale, la saggezza.
La Mandorla per la sua forma ovoidale è collegata alla matrice, come simbolo di fecondità, di nascita primordiale dell’Universo.
Come riproduzione dell’uovo cosmico, ha la caratteristica simbolica di rappresentare un spazio chiuso e protetto; delimita lo spazio sacro separandolo dallo spazio profano, essa forma così uno spazio chiuso; protettrice che separa il puro, l’originario, dall’impuro.
http://www.mitiemisteri.it/esoterismo/alberi/simbologia_del_mandorlo.html
http://www.giardinaggio.net/fiori/significato-dei-fiori/fiore-di-mandorlo.asp#ixzz41qndLIRv